lunedì 11 febbraio 2013

Silenziosa ondeggia seguendo regole improvvisate, 
cala leggera verso il suolo inventandosi una musicalità tutta sua e si appoggia un po' ovunque 
dando una pennellata di luminosità anche a ciò che tenta di nascondersi nell'ombra.
Sfiora, tocca, carezza, si appoggia, si attacca, si ferma come a ricoprire tutto in un debole ma portentoso abbraccio chiaro e brillante.
Sembra riuscire a sfidare ogni regola, 
ogni ruolo, 
ogni orario impostato dal proprio esistere all'interno della società.
Sembra essere capace di sfidare persino la forza di gravità, 
restando aggrappata ad ogni superficie verticale, nascosta, in ombra, inclinata e scivolosa, 
come se niente potesse impedirle di appoggiare su ogni cosa un ondeggiante mantello bianco.
Si abbandona sulle superfici come collante di universi appartenenti a tempi diversi; 
collante di vite passate e prensenti, 
collante tra l'insabilità inquieta dell'adolescenza e il tepore illusorio dell'età adulta.
Accompagna i sorrisi dei bambini che vedendola non riescono a far altro se non correrle incontro; culla i pensieri degli adolescenti, insicuri, 
in equilibrio tra la voglia di sbilanciarsi verso la parte di sè che ancora li trattiene nell'infanzia 
e quello strano senso di dovere che già caratterizza la loro parte adulta.
Dondola i "grandi", 
solo quelli ancora capaci di guardarsi intorno, 
di vederla per quella che è, 
e non per quella che la routine, il traffico, le strade l'hanno fatta diventare. 
Solo quelli in grado di vederla davvero possono riuscire ad apprezzarla,
 a cogliere ciò che ancora può raccontar loro.
Così, chi si lascia andare, 
chi abbandona le lancette dei propri orologi e si abbandona tra le sue braccia,
 in balia dell'immaginazione, 
chi si perde tra le foglie che acquistano un nuovo colore 
ed ogni cosa che sembra essere circondata da una soffice cornice di bianco, 
chi lancia il proprio sguardo tra i dettagli che solo la neve riesce a rimarcare, 
ha imparato la più sincera lezione che lei possa mai insegnare.



sabato 26 gennaio 2013

immobile

Alla fine tutto appare piatto come l'acqua immobile di una pozza, di un lago, di un mare od oceano che sia.
Le cose sembrano paralizzarsi sotto il mio sguardo opaco e cupo, e anche ciò che possedeva in sè la forza della dinamicità, se ne sente privato e assume quella staticità che sembra propria dei corpi senz'anima.
Le persone si fermano, perdono il movimento, i loro muscoli si atrofizzano e sui loro volti sembra passare l'ombra fugace di un interrogativo che mai riceverà risposta.
Guardo i tram sulle rotaie e anche quelli rallentano per fermarsi sul ferro che indica loro la strada giusta; sono belli, sembrano aver trovato la loro dimensione, affondando i loro grandi piedi nella terra ed allungandosi con le braccia fino a toccare un cielo non troppo lontano.
Tutto rallenta, tutto diventa immobile. 
La staticità a tratti diventa un assordante silenzio, sembra sprofondare con le sue lunghissime unghie appuntite nella mia pelle, provocandomi un dolore costante, col quale però, in qualche modo, per spirito di sopravvivenza si impara a convivere.
La staticità, piatta, distesa, costante, implacabile fermezza del fissare, dell'incantarsi con lo sguardo, del trattenere le palpebre aperte perchè costretti a non chiuderle.
La staticità del mare, che d'inverno, sembra congelare sotto la coperta innevata di un gennaio che volge al termine.

Ed è proprio allora che, ti rendi conto di esserti fermata con tutto il resto, di aver perso il movimento nel volto, nelle labbra, negli occhi; fissando ciò che resta ti sei fermata con tutto quello che ti circondava ed era stato privato della sua motilità.

Sarà col tempo, fissando un punto apparentemente nel vuoto che scoprirai che qualcosa ancora si muove, che niente mai è completamente fermo nè è fermo per sempre.