Indietreggia correndo il treno sul binario, scorre sul tracciato orizzontale d'acciaio ormai scurito dall'usura dei molteplici viaggi.
Corre indietro, e davanti al mio viso sfilano palazzi, distese piane di campi, alberi, campanili, ombrelli, terrazzi ricolmi di piante, campi da gioco, finestre aperte e porte chiuse...
Davanti ai miei occhi galleggiano nel cielo grigio le nuvole cariche di pioggia, sfrecciano i pali dell'elettricità con una ritmicità cadenzata e quasi ipnotica, acquistano quasi dimensioni infinite le risaie che sembrano giocare tra loro con una schematica geometricità.
Avrei dovuto prendere questo treno per te, avrei voluto prendere un treno per noi, avrei voluto guardare il paesaggio aprirsi ai miei occhi con, nel cuore, la sola speranza di vederti.
Avrei voluto incantarmi sui fili elettrici abbandonandomi alla certezza di aver fatto tutto il possibile, di averci provato, di non aver rinunciato.
Avrei voluto rimanere incantata a guardare i raggi del sole sulle risaie con te.
Forse se solo avessi tentato, avrei potuto parlarti dell'ombra del nostro treno sul campo color grano, illuminato dalla strana luce di un'umida giornata piovosa di inizio maggio.
Ma tu, probabilmente non saresti stato ad aspettarmi, non avresti visto niente di quello che io vedevo, non avresti colto il riflesso del sole sull'acqua....
Probabilmente non mi avresti ascoltata.
Non mi avresti capita ed io non avrei capito te.
Lascio il mio sguardo posarsi sulle montagne che cominciano a delinearsi in lontananza, lascio che questi si abitui alla vista senza mai perdere la sorpresa di scoprire vette ancora imbiancate da un ombra di neve, e infine lascio che si perda, si abbandoni, e si ritrovi nel mistero della lontananza.
Io adesso sono arrivata.
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