Sono sei mesi che
abito in Tanzania, quando posso prendo le ferie, salgo su un autobus
per scoprire nuovi paesaggi, cercando nuovi incontri e riflessioni.
É
un paese grande, la vegetazione varia rapidamente e molto spesso,
agli occhi di chi, seduto per molte ore, viaggia su un autobus che
sfreccia (anche pericolosamente) sulle strade strette e non sempre
ben asfaltate della Tanzania.
Il paesaggio si srotola continuamente senza interruzioni, a perdita d'occhio, come se non esistesse un inizio ed una fine. Lo sguardo resta cosí libero di perdersi nell'emozione di un'altissima montagna che si innalza verso il cielo dopo una lunga distesa d'oro pianeggiante, colorata a tratti dai variopinti abiti della tribú dei masai che pascolano i propri greggi.
Il colori bruciati delle zone più aride e povere, vengono presto sostituiti dal verde brillante e nuovo della stagione delle piogge, che spesso inonda ma non penetra in una terra così poco solita all'acqua.
L'autobus è il mezzo più economico per spostarsi in un questo paese, è il più comune ed il meno turistico. Il bianco sull'autobus è una rarità, e come tale attira gli sguardi di tutti, dei più grandi e in particolare dei più piccini. Gli sguardi, raramente sono invadenti, in generale sono curiosi, spontanei, sono chiaramente attirati dalla diversità e spesso non possono essere evitati.
Il bianco, muzungu, letteralmente significa colui che erra, in pratica, in questo paese, tra i più turistici in Africa per il gran numero di famosi parchi nazionali, bianco è sinonimo di denaro. Chiaramente è un fenomeno banale, scontato, ma io, finché non mi ci sono trovata, l'avevo previsto, ma forse non lo avevo seriamente valutato.
É spiazzante, quanto riesca ad essere irritante, sentirsi appiccicare perennemente l'appellativo di muzungu, dopo 6 mesi ospite di questo paese, mentre inizio ad entrare nel meccanismo di una lingua così ingarbugliata che è lo swahili, riuscendo perciò a recepire buona parte delle cose che vengono dette e mi vengono rivolte.
La sensazione che ho
addosso perenne è quella di camminare con una sirena accesa in testa
o meglio un faro lampeggiante sotto la pelle. Ed è una lotta
quotidiana, che inizia dal mattino quando mi sveglio, fino alla sera
quando vado a letto, quella di cercare di trasmettere il messaggio
che non sono una turista, che non è giusto che debba pagare una cosa
il doppio rispetto al suo prezzo regolare, e che il colore della mia
pelle non dovrebbe avere voce in capitolo.
Rabbrividisco quando i
bambini mi fermano e muti gesticolano strusciando il pollice
sull'indice. Deve essere un gesto universale quello del denaro.
Rabbrividisco e penso che qualcuno un giorno, non troppo tempo fa,
deve averglieli dati dei soldi, e la pelle di quel qualcuno doveva
essere bianca. Rabbrividisco e penso che i bambini neri, a noi
bianchi ci piace aiutarli quando sono a “casa loro”, li piangiamo
quando muoiono di fame, di morbillo, di aids quando muoiono affogati,
ma quando arrivano “a casa nostra” non ci piace più tanto
aiutarli.
Mi fermo un attimo e
penso che sono mzungu e sono bianca, e che è un dato di fatto.
Dopo tutto i bianchi in tanzania sono quasi tutti turisti, quindi sicuramente molto più ricchi della maggioranza della popolazione tanzana; solo per arrivarci in tanzania, nella migliore delle ipotesi (quindi la piu economica), hanno (abbiamo) speso la cifra che riceve mensilmente come stipendio il dottore dell'ospedale dove lavoro. Intendiamoci non è uno specialista, ma si è pagato gli studi e prende comunque 600.000 scellini tanzaniani al mese (poco meno di 300 euro), e credetemi, il suo è un ottimo stipendio.
Il resto dei bianchi? Preti, suore, volontari, cooperanti, gente che si è arricchita col turismo.
Un bel teatrino direi, buffo e variegato, un
tripudio di ideologie, religioni, credenze, denaro e valori, conditi
con un'abbondante dose di contraddizioni, di cui l'essere umano non
sa proprio fare a meno.
Io in questo minestrone risiedo precisamente nel mezzo, percepisco le contraddizioni ed il secolare senso di colpa di un mondo bianco che ha schiavizzato, sottomesso, subordinato, sfruttato, violato il mondo altro (e non ha ancora smesso di farlo), perché il colore della propria pelle é simbolo di superiorità e purezza.
Io in questo minestrone risiedo precisamente nel mezzo, percepisco le contraddizioni ed il secolare senso di colpa di un mondo bianco che ha schiavizzato, sottomesso, subordinato, sfruttato, violato il mondo altro (e non ha ancora smesso di farlo), perché il colore della propria pelle é simbolo di superiorità e purezza.
Io sono bianca, loro sono neri, la differenza c'è adesso come c'è sempre stata, il punto sta, come di consuetudine, nel distinguere ció che cambia tra il riconoscere la differenza e l'utilizzare la differenza come motivo di discriminazione.
In tutto ciò, nella mia vita avevo già provato la sensazione di diversità e talvolta discriminazione, perché donna, perché femminista, ma mai mi ero sentita diversa per il colore della mia pelle.